Processo per i fatti del G8

Il processo ai 25 manifestanti accusati di devastazione e saccheggio per i fatti di Genova e la richiesta di 225 anni di carcere non sono che l’ennesimo tassello di una campagna repressiva feroce e continuata verso chi, qui in Italia, da anni si oppone in maniera radicale a padroni e poteri forti.
Il “concorso morale in devastazione e saccheggio” è stato usato con il fine di criminalizzare la presenza ad una iniziativa di piazza, mentre l’associazione sovversiva è stata usata per colpire realtà politiche extraparlamentari  e movimenti anticapitalisti sulla base della semplice conoscenza e frequentazione tra compagni.
Le violenze della polizia, le torture ai fermati, il “macello” della scuola Diaz, l’omicidio di Carlo Giuliani, la bocciatura della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione dell’ordine pubblico in quelle giornate, non sono solo degli episodi vergognosi, sono un vero e proprio buco, un vuoto nella storia di questo paese.  In realtà, a Genova
i criminali sono stati loro!

Chi processa i compagni imputati per la propria partecipazione attiva a quelle giornate vuole innanzitutto stravolgere e rimuovere il significato politico di quel “movimento” e le ragioni che lo ispirano, mentre chi li sostiene vuole difendere con essi i contenuti e le pratiche espresse in quei giorni.
Si vuole criminalizzare l’azione diretta non delegata, né sponsorizzata da alcuna organizzazione istituzionale,  perché questa è l’ unico strumento di trasformazione reale dell’esistente, è l’unica lotta che paga. E’ questo il portato dell’opposizione agli ultimi vertici internazionali, cosi come questa estate in Germania, passando per l’11 marzo dell’anno scorso a Milano e a Torino nel 2005.

In una situazione in cui la risposta alle crescenti difficoltà economiche è la sempre più capillare riduzione degli spazi di “democrazia” e di agibilità politica, in cui lo scontro sociale e politico è sempre più blindato dentro forme di rappresentanza vuote e insignificanti, il monopolio morale e materiale della violenza è per lo stato uno strumento strategico  per annientare ogni possibile anomalia e forma di contestazione. La violenza viene oggettivamente ammessa, anzi scientificamente programmata e organizzata, ma solo per difendere precisi interessi economici e politici.
Così anche ciò che è successo domenica, l’omicidio di Gabriele Sandri, non è che l’ennesima dimostrazione di una repressione sociale sempre più aspra e sempre meno controllabile. Ma quello di Gabriele è solo un episodio che ha fatto scalpore: quotidianamente assistiamo a decine di episodi di ordinaria repressione: dai rastrellamenti nei quartieri popolari, alle espulsioni per gli immigrati, agli spari nei posti di blocco, alle perquisizioni e agli arresti dei compagni. La repressione attacca in maniera indiscriminata ogni forma di reazione alla situazione esistente.

A tutto questo si risponde con la lotta per il proprio diritto a un’esistenza dignitosa, senza precarietà, senza schiavitù, senza frontiere e dando solidarietà ai compagni che questa lotta la portano avanti da anni.

 

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