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Giovani nella trappola degli stage
quattro laureati su dieci senza paga

 

Tanti
non ricevono alcun rimborso per lavorare anche più di 48 ore a
settimana. La gran parte non è inserita in alcun progetto formativo e
il 53 per cento è costretto a farne almeno due. Soprattutto nelle
piccole imprese. I risultati della nostra indagine insieme a Gipd, dopo
l’allarme della Commissione europea sull’abuso dei tirocini, su duemila
stagisti e cento imprese. TABELLE: le volte, la retribuzione, il progetto, l’orario, le proposte di lavoro : LA TESTIMONIANZA: Francesco Pedemonte da Genova

di FEDERICO PACE

La gran parte di loro ha meno di ventisei anni, possiede almeno un
titolo di laurea, e non riceve neppure un euro per lavorare, o imparare
a lavorare, anche fino a 48 ore a settimana. Più della metà degli
stagisti ha ripetuto, o è stato costretto a ripetere, l’esperienza più
di una volta e, alla fine di quei mesi trascorsi in azienda, un terzo
di loro ha dovuto amaramente confessare che lo stage non è servito a
nulla. Ma soprattutto, la maggior parte di loro non ha avuto, durante
il tirocinio, alcun progetto formativo.

Sono questi alcuni dei risultati della nostra indagine realizzata,
insieme all’associazione del personale Gidp, sull’esperienza degli
stage dei giovani, che ha coinvolto duemila stagisti e cento imprese,
dopo che la Commissione europea ha lanciato l’allarme sull’abuso dello
strumento dei tirocini. Dopo che l’istutuzione europea ha annunciato,
per l’anno prossimo, l’adozione di una serie di interventi per
stimolarne l’uso corretto e virtuoso con l’inquadramento del
tirocinante in un adeguato percorso formativo seguito anche dalla
presenza di un tutor.

Quella che è, e deve essere, un’opportunità per avvicinarsi al mondo
delle aziende, rischia, forse in troppi casi, di diventare una specie
di trappola. Lo stage così, come se fosse un panetto di plastilina,
prende forme che la discostano dalla natura per cui è stato pensato e
promosso.

Ma iniziamo dalla paga. Il quaranta per cento degli stagisti ha
dichiarato di non avere ricevuto alcun rimborso mentre un altro dieci
per cento ha detto di avere dovuto fare fronte a un rimborso inferiore
ai duecento euro al mese. Un altro sette per cento ha ricevuto una
somma compresa tra duecento e trecento euro. Pochi invece i fortunati
che hanno potuto fare conto, a fine mese, su qualcosa che non avesso
solo un carattere simbolico. Il tredici per cento ha ricevuto una cifra
compresa tra 500 e settecento euro mentre un altro dodici per cento ha
avuto una cifra superiore ai settecento euro (vedi tabella).

Quanto invece al progetto formativo solo il 35 per cento ha dichiarato
di averlo avuto e di essere stato seguito da un tutor. A questi si
aggiunge un 15 per cento che però, seppure con un progetto, non è stato
seguito da alcun tutor. Ma quel che desta allarme è quel 51 per cento
che dichiara di non essere stato inserito in alcun progetto formativo (vedi tabella). Ma quali sono le realtà dove si fa un uso distorto dei tirocini? “Come gestore delle risorse umane – ci ha detto Paolo Citterio, presidente associazione direttori risorse umane GIDP/HRDA
vedo troppe malinconiche situazioni specie nelle piccole imprese che
ancora non hanno capito né percepito che un laureato può fornire, ad
esempio, nell’area del marketing o dello sviluppo della ricerca, un
contributo importante ove l’imprenditore, che "sta sul pezzo" anche 12
ore al giorno e non ha il tempo né la cultura per crescere. Queste
imprese hanno bisogno, forse non di maggiori controlli punitivi ma di
facilitazioni, spiegazioni, indicazioni su come utilizzare al meglio i
nostri stagisti laureati”.

Se si guarda alle ore trascorse in azienda ci si accorge che un terzo
degli stagisti lavora più di 43 ore a settimana e di questi il dodici
per cento arriva a lavorare per più di quarantotto ore (vedi tabella).

Se c’è qualcosa di positivo è di certo il ruolo crescente delle
università nell’avvicinamento al mondo del lavoro. L’80 per cento delle
imprese dichiara di utilizzare proprio il canale delle facoltà per
individuare le risorse da inserire al proprio interno in percorsi di
tirocini. “La nostra azienda – ci ha detto Maurizio Villa direttore del personale di Leaf Dolciaria
utilizza ampiamente lo stage con vicendevole soddisfazione attraverso
convenzioni fatte con le principali università, tra queste la
Cattolica, la Bocconi, il Politecnico, l’università di Parma e altre”.

Ma in quali divisioni vengono inseriti per lo più i giovani?
Molti trovano spazio nelle attività legate al marketing (il 21 per
cento) e nella divisione dell’amministrazione, controllo e finanza (il
18 per cento). Un altrettanto numero significativo ha la possibilità di
entrare nella ricerca e sviluppo e nella produzione.

Alla fine per molti il tirocinio, seppure a un prezzo alto, non è tempo
perso. I due terzi dicono che è servito in qualche modo a qualcosa
mentre per un 33 per cento è servito a poco o nulla. Per il 31 per
cento il tempo trascorso in azienda è stato utile per affinare le
competenze mentre il 27 per cento, ne ha approfittato per capire meglio
quello che accade in un’impresa. Altri, più concretamente, ritengono
che alla fine il tirocinio sia soprattutto servito a inserire nel
proprio cv un’esperienza di lavoro.

Quanto all’esito occupazionale, a quasi sei stagisti su dieci non è
stato proposto alcun contratto (il 55 per cento), al venti per cento è
stata proposta una collaborazione a progetto, al dieci per cento un
contratto a tempo determinato e al sei per cento un contratto a tempo
indeterminato (vedi tabella).
D’altronde il tasso di crescita dell’occupazione è ancora molto esiguo
e le aziende si mostrano molto caute. “Oggi l’inserimento in azienda
non è affato scontato – ci ha detto Tommaso Raimondi direttore personale e organizzazione di OM Carrelli Elevatori – Gruppo Kion
e le aziende sono molto attente ad inserire le persone giuste al posto
giusto dopo averne ampiamente valutate le potenzialità. Il considerare
lo stage a volta con qualche pregiudizio, ritenendolo in definitivo
come una modalità di sfruttamento delle risorse da parte delle imprese
senza sicurezza di essere poi assunti, porta inevitabilmente a perdere
delle occasioni duplici: colmare il gap di conoscenza rispetto alla
realtà aziendale e sicuramente escludere comunque di dischiudersi
qualche opportunità di definitivo inserimento”.

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