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L’odissea dei “senza carriera”
sempre più italiani privi di chance

 
Negli
ultimi quattro anni le prospettive di carriera sono peggiorate di sette
punti percentuali. L’ascensore professionale è fermo e non c’è alcuna
mobilità. Solo pochi riescono a migliorare lo status sociale ed
economico. Sei italiani su dieci lamentano la mancata crescita in
azienda. E aumenta la disaffezione al lavoro. I risultati del Rapporto
Isfol presentato oggi a Roma. TABELLA: dal 2002 al 2006. SONDAGGIO: merito e carriere nel tuo ufficio

di FEDERICO PACE

Immobile, deluso, impoverito. Sono questi i tratti del lavoratore
italiano di questi ultimi anni. Proprio mentre nei dialoghi
sull’occupazione le parole più pronunciate sono flessibilità e
mobilità, negli uffici delle web farm, negli studi d’avvocato o
d’architetto, nelle fabbriche così come nei pubblici edifici, ci si
ritrova a fare i conti con un sistema immobile e fermo. La gran parte
si ritrova per una vita intera, come l’agrimensore di Kafka, nei pressi
del “castello” senza mai sapere come si giunga fino a quel luogo ambito
che sta sempre celato tra “nebbia e tenebre”. Tanto che i percorsi
professionali che ciascuno intraprende si rilevano come strade che in
realtà non vanno da alcuna parte. Ascensori rotti. Scale senza pioli su
cui nessuno può salire. Percorsi sconosciuti ai più che solo alcuni
riescono a scovare. E chi diventa protagonista di rapide ascensioni non
sempre lo fa (solo) per merito.

A insistere sull’impoverimento del lavoro è il Rapporto Isfol 2007
presentato oggi a Roma. La pubblicazione dell’Istituto per la
formazione del lavoro approfondisce i temi e punta il dito contro quel
“confine di opportunità” in cui si svela ancora (e di nuovo) troppo
“forte la correlazione tra ambiente di origine e chance di accesso a un
lavoro conforme alle attese”. E, anche per questo ma non solo, sembra
di essere davanti a questo sempre maggiore “impoverimento” del lavoro.
Impoverimento di prospettive, stimoli, realizzazioni professionali.
Senza dovere nemmeno parlare dell’annoso tema delle retribuzioni (vedi qua).
D’altronde l’occupazione che si è vista crescere in questi anni è stata
sempre più polarizzata e ha visto la crescita soprattutto di posizioni
per figure a scarso contenuto professionale e a svantaggio di profili
intermedi.

Quasi sei italiani su dieci, dice il rapporto, segnalano come fattore
di criticità proprio la mancata crescita professionale. Questa
insoddisfazione non appartiene solo ad alcuni segmenti del mercato.
Essa si allarga come un liquido su di una superficie piana. E se fino
ad ora erano soprattutto le donne a lamentare questa insoddisfazione
ora è arrivato anche il turno degli uomini. Tra il 2002 e il 2006 le
prospettive di carriera degli uomini sono peggiorate di sette punti
percentuali e la quota di chi non ritiene di aver alcuna chance è
cresciuta dal 47 per cento fino al 54 per cento.

Quelli che sono meno “esclusi” dalla partita di promozioni e
affermazioni sul lavoro sono i laureati con un 50 per cento di loro che
mostra di avere probabilità di avanzamento di carriera e chi ha alte
qualifiche professionali (il 48,3 per cento). Per gli altri il lavoro
sembra non potere offrire alcun ritorno (intorno al 30 per cento).
Tanto che pare sempre più probabile che molti ormai siano costretti,
loro malgrado, a condividere, le cupe riflessioni del filosofo e
saggista romeno E.M. Cioran quando scriveva “quando penso a quella
razza dannata di funzionari che passano le giornate in ufficio a
occuparsi di cose che non li riguardano, che non hanno niente da
spartire con le loro preoccupazioni e con il loro stesso essere!
Nessuno, nella vita moderna, fa ciò che dovrebbe, soprattutto ciò che
gli piace fare”.

Ferme quindi le carriere, come ferme sembrano essere le opportunità per
le donne. Nel 2006 solo il 36,7 per cento delle occupate ha potuto
avere un contratto a tempo indeterminato mentre cresce il ricorso al
lavoro a termine e a progetto. Raramente in maniera volontaria. Senza
dire che, sempre nel 2006, la maternità continua ad essere un elemento
cruciale per pratiche discriminatorie. Tanto che dopo aver dato al
mondo un bambino o una bambina, una donna su nove è uscita dal mercato
occupazionale per esigenze di cura e assistenza ai figli o perché il
contratto non c’è più.

E poi ci sono i giovani. Ancora loro sotto scacco. Solo il 53,8 per
cento di loro ha un contratto a tempo indeterminato, tutti gli altri si
ritrovano con contratti a tempo, collaborazioni e altri contratti non
standard. Uno status che sembra perpetuarsi nel tempo. Anche questo
senza cambiare quasi mai. Nonostante la flessibilità e la mobilità.
Anche questi, per la gran parte, contro la propria volontà. Tanto che
il 48 per cento dei rapporti di lavoro dipendenti atipici è infatti
stata già rinnovata almeno una volta. Dopo tutto questo non è difficile
sorprendersi se cresce il numero di chi si disaffeziona al proprio
impiego.

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