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21/12/07 – il manifesto 
 
La rabbia si fa strada a Belgrado, tradita dall’Europa
Lo scippo del Kosovo Di fronte al tentativo
d’imbroglio i serbi si sentono traditi. I Balcani in pericolo. E il 20
gennaio si vota per le presidenziali. Non si escludono sorprese
esplosive
Ennio Remondino
Belgrado

Belgrado in genere piace. Per la sua gente
e l’ironia che cogli ovunque. Dev’essere l’eterno oscillare fra
tragedia e farsa che segna la sua storia. Belgrado oggi è cuore e testa
di un popolo arrabbiato. Molto arrabbiato. L’occasione si chiama
Kosovo, ma ad offendere, più che la circostanza, è il modo. Quasi
esistesse verso la Serbia una sorta di volontà punitiva. Da parte degli
Stati Uniti, certamente, e più ancora della Gran Bretagna. Ma il
tradimento, dice il cuore di Belgrado, viene dall’Europa. Non dalla
paranoica macchina burocratica dell’Unione, ma da quei pezzi d’Europa
nella cui cultura ogni serbo trova una parte della sua identità.
Ogni
vecchio frequentatore di Belgrado non può evitare il rito di una cena
al Club degli scrittori, nella cantina fumosa di Budo e figlio, dove
l’anima della vecchia Jugoslavia di Tito te la trovi accanto, inamidata
assieme a tovaglie e camerieri. Vecchi amici con cui hai accompagnato,
a battute, la piazza democratica contro Milosevic, le bombe Nato, la
caduta del despota, la traballante democrazia che cammina su gambe di
uomini politici esili o d’avventura. L’altro giorno, verso il ben
conosciuto italijanski novinari, il giornalista italiano amico da
sempre, ho colto ironia, astio e amarezza per il tradimento
dell’Italia. Li ho visti per la prima volta davvero arrabbiati. Il
Kosovo come terra delle origini serbe, come ripete la stampa non solo
nazionalista, ma soprattutto, il Kosovo come beffa punitiva anti serba
di una parte del mondo. Vero o non vero che sia quanto sentono i serbi,
l’importante, anche per il futuro internazionale di questa parte
strategica del mondo, è il semplice fatto che questo sentono. Come a
dire, per le cancellerie mondiali particolarmente stupide, che la
politica internazionale di respiro si fa con i popoli e non con i
governi. I governi li puoi costringere, isolare, comprare o ricattare,
mentre i popoli, al voto, possono reagire non solo con testa o tasca,
ma a volte anche con la pancia.
È questo che rischia di accadere,
tra un mese, qui a Belgrado, quando il vivace passeggio di Kneza
Mihaila e le periferie arrabbiate di Novi Beograd, saranno chiamati a
votare per il presidente della Serbia. Concorrenti formali un mucchio,
in gara per il podio soltanto due: il presidente uscente Boris Tadic,
partito democratico, e il leader dell’attuale partito maggioritario e
nazionalista Toma Nikolic. Provo a tradurre in italiano. Tadic come un
Veltroni serbo (anche se assomiglia fisicamente a Casini) e Nikolic
come un Berlusconi populista e anti europeo, ma iper nazionalista. La
Serbia della nuova democrazia e la Serbia orfana del suo discusso
passato. A decidere, anche in Serbia, saranno al secondo turno di voto,
il 3 febbraio, i partiti minori: destra moderata, quasi destra, quasi
centro ecc.. Qui, nessuna Cosa Rossa in pista.
Ed eccoci al terzo
protagonista della scena: l’attuale capo del governo Vojislav
Kostunica, che ieri all’Onu ha strepitato contro lo scippo illegittimo
del Kosovo. Kostunica, in rotta anche personale col presidente Tadic.
Kostunica insegue i consensi ultra nazionalisti di Nikolic e sulla
questione Kosovo promette tempesta. Sostanzialmente condiziona Tadic
con la minaccia di non sostenerlo al secondo turno presidenziale,
scegliendo col non voto dei suoi seguaci di restituire agli orfani di
Milosevic la rappresentanza massima della Serbia. Scenario da
apocalisse per i Balcani, improbabile ma non impossibile in questa
carambola kosovara.
Che si appresta a fare il mondo nell’imminenza
di scenari comunque inquietanti? Poco o nulla, salvo il magheggio al
Palazzo di Vetro di New York dove Stati Uniti ed Unione Europea provano
a imbrogliare che la risoluzione 1244 (quella del dopo bombardamenti
Nato) consente di togliere il Kosovo alla sovranità serba per farne uno
staterello monoetnico albanese sotto protettorato internazionale. La
Russia insiste a ricordare che quella risoluzione Onu garantisce alla
Serbia la sovranità sul Kosovo ed il diritto internazionale impone la
tutela della sua integrità territoriale. Polemiche di domani e reazioni
che potrebbero arrivare a sorprendere.
Provo a tracciare un percorso
di appuntamenti. Due sole date certe: 20 gennaio, primo turno elezioni
presidenziali serbe. Primo Nikolic, insegue Tadic. 3 febbraio, secondo
turno dove, abbiamo visto, tutto potrebbe accadere. In mezzo, il 28
gennaio, il Consiglio dei ministri Ue dà il via alla missione europea
in Kosovo e riconosce alla Serbia lo status di Candidato all’accesso.
Un aiuto elettorale a Tadic. Contromossa di Kostunica: con i radicali
fa passare in Parlamento una risoluzione anti adesione europea e Nato.
Insediamento del nuovo Presidente serbo, chi esso sia, tra il 10 e il
15 febbraio.
Quello stesso 10 o 15 febbraio a Pristina, il
parlamento kosovaro dichiarerà la sua indipendenza. Sempre quel giorno,
la municipalità serba di Kosovska Mitrovica non riconoscerà il nuovo
Stato e, forte della vecchia risoluzione Onu, si dichiarerà parte della
Serbia. Dalle altre enclavi serbe migrazione di disperati verso la
nuova frontiera lungo il fiume Ibar. Rischio di tensioni e di violenze:
enorme. La Nato sul campo verificherà l’efficacia degli ordini
ricevuti. Gli stati dell’Unione europea, di fronte
all’autoproclamazione d’indipendenza, decideranno sul riconoscimento in
ordine sparso. L’Italia, forse costretta ad un dibattito parlamentare
preventivo, sul Kosovo rischierà il suo governo. L’Ue, che ha dato il
via alla sua missione di vigilanza e di governo in Kosovo, sarà ancora
alle prese con l’approntamento dei 2 mila uomini che non potranno
arrivare sul campo prima di maggio. Auguri di buon 2008 dai Balcani
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