http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/16-Dicembre-2007/art42.html

L’emergenza salariale esige risposte nette
 
Alberto Burgio
Roberto Croce

Un recente studio dell’Ires-Cgil
significativamente intitolato Salari in difficoltà ci consegna alcuni
importanti spunti di riflessione. Ci dice innanzitutto che nel periodo
1993-2006 su 16,7 punti percentuali di crescita di produttività solo
2,2 punti (pari al 13%) sono andati ai salari, mentre alle imprese sono
andati ben 14,5 punti, pari all’87%. La questione dei bassi salari,
dunque, è una grande questione di ridistribuzione e di giustizia
sociale. Ci dice anche che la crescita della produttività nel nostro
paese è più lenta che nel resto di Europa e che la causa principale di
questa mancata crescita deriva non dalla scarsa produttività del
lavoro, ma da quella del capitale (che non sa né vuole introdurre
innovazioni sia di prodotto che di processo).
Il rapporto Ires ci
dice ancora che, per restare competitive sul mercato, le nostre aziende
– non potendo più ricorrere, in regime di moneta unica, alla
svalutazione della lira – puntano oggi su politiche di bassi salari,
recuperando così sul versante dei costi i margini di profitto erosi
dalla minore competitività. E ci dice infine che la politica dei bassi
salari viene attuata principalmente in danno di quattro categorie di
soggetti: i lavoratori del Mezzogiorno, le donne lavoratrici, i
lavoratori immigrati e i lavoratori giovani con contratti flessibili e
temporalmente limitati. Posto, infatti, che il salario netto mensile di
un lavoratore standard è di 1171 euro al mese, tale importo subisce per
i componenti delle quattro categorie sopra citate riduzioni oscillanti
tra il 13,4% (ossia stipendio netto mensile di 969 euro) e il del
27,1%, (ossia stipendio netto mensile di 854 euro).
In questo quadro
– come bene spiegava qualche giorno fa su Liberazione Luigi Cavallaro –
le recenti proposte di fonte confindustriale e della Cisl di collegare
«il salario al merito» appaiono una ulteriore beffa. Così facendo,
infatti, si finirebbe col trasferire in capo ai lavoratori anche il
cosiddetto rischio di impresa, ossia le conseguenze negative di scelte
organizzative e gestionali alle quali sono per definizione estranei.
Oltretutto, una simile scelta si porrebbe in palese contrasto con
l’art. 36 della nostra Costituzione, per il quale, non a caso, non
basta che la retribuzione sia «proporzionata» alla quantità e qualità
del lavoro prestato, poiché deve «in ogni caso» essere anche
sufficiente ad assicurare al lavoratore e alla sua famiglia una
esistenza libera e dignitosa.
Ecco, oggi, in Italia, il punto è
proprio questo: i salari non consentono a migliaia di lavoratori e alle
loro famiglie di svolgere una esistenza libera dal bisogno e dignitosa.
In questo quadro, la soluzione al problema non è lo smantellamento
della contrattazione collettiva di primo livello in favore della
contrattazione aziendale; il contratto collettivo nazionale, quale
garanzia di trattamento economico minimo inderogabile, va, anzi, tenuto
fermo e rinnovato con meno ritardi per non indebolire il potere di
acquisto dei salari.
I campi di intervento dovrebbero essere altri
e ben più radicali: a monte, arginando le cause «concorrenziali» che
determinano i bassi salari, prime fra tutte le varie forme di lavoro
flessibile; a valle, (re)introducendo meccanismi di salvaguardia del
potere di acquisto dei salari (una nuova scala mobile) e, al contempo,
operando una ridistribuzione più equa della ricchezza attraverso un
utilizzo della leva fiscale orientata contestualmente sulla riduzione
della pressione fiscale per i redditi da lavoro e su un adeguamento
della tassazione delle rendite finanziarie e dei profitti.
Le
vicende parlamentari sul Protocollo del welfare rendono necessario un
cambio di fase che ristabilisca le priorità dell’agenda politica e che
fissi, con nettezza e senza ambiguità, la centralità della questione
lavoro e, nell’ambito di questa, quale priorità ineludibile, il tema
dei bassi salari. Si tratta di una grave questione di democrazia che
una classe politica degna di questo nome deve avere la forza di
affrontare e di risolvere. Per queste ragioni, avanziamo la richiesta
di convocare al più presto una seduta della Camera dei deputati che
ponga all’ordine del giorno l’emergenza salari, anche per valutare
l’opportunità di istituire una Commissione permanente che controlli
l’aumento di prezzi e tariffe e impedisca fenomeni speculativi,
favoriti anche dal continuo aumento del prezzo del petrolio.
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