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Bisturi sotto occupazione
 
Nei
Territori occupati ci sono ospedali in continuo miglioramento, anche
grazie all’apporto di medici italiani. Ma per curare i piccoli di Gaza
e della Cisgiordania le regioni e il governo di Roma finanziano il
centro Peres per la pace. I fondi vanno così alle strutture israeliane
invece di aiutare lo sviluppo del popolo occupato
Michele Giorgio
Gerusalemme

Diventare cardiochirurga e salvare vite
umane è stato il sogno di Vivian Bader sin da quando era bambina.
«Ricordo che guardavo i telefilm sui medici e mi dicevo: ecco Vivian
questa sarà la tua vita», racconta la dottoressa mentre a passo veloce
percorre i corridoi del reparto di cardiologia dell’ospedale
palestinese «Makassed» di Gerusalemme. La medicina è diventata tutta la
sua vita.
Il padre, musulmano osservante, avrebbe voluto per lei una
vita tradizionale, ma Vivian ha preferito dedicare gran parte del suo
tempo al lavoro. «Sono single, non ho mai avuto tempo per pensare al
matrimonio anche se non lo escludo. Esisto solo per il Makassed», dice
sorridendo.
Ad Hebron, la sua città d’origine, torna raramente.
«Vorrei andarci più spesso ma non posso – spiega -: dalle autorità
militari israeliane non ho mai ricevuto il tesserino magnetico
(necessario per entrare a Gerusalemme, ndr) ma solo un permesso da
rinnovare periodicamente. Ai posti di blocco i soldati (israeliani)
talvolta mi trattengono per ore. Non posso permettermi di abbandonare i
miei pazienti. Così sono sempre qui: al Makassed dormo anche».
Vivian
Bader è il fiore all’occhiello della sanità palestinese. Un esempio di
ciò che questo popolo potrebbe fare se non fosse prigioniero
dell’occupazione militare israeliana cominciata 40 anni fa. La
dottoressa Bader si è laureata in medicina all’Università Al-Quds di
Gerusalemme Est e, lavorando unicamente in strutture sanitarie
palestinesi, è diventata una cardiochirurga di primo livello.
Il
dottor Vincenzo Stefano Luisi che, a capo di una equipe giunta
dall’ospedale «Pasquinucci» del Cnr di Massa, nelle scorse settimane ha
effettuato 15 interventi a cuore aperto su altrettanti bimbi
palestinesi, ne parla in questi termini: «Il Makassed è un buon
ospedale, i medici palestinesi sono professionali e la dottoressa Bader
ha partecipato attivamente a gran parte degli interventi chirurgici, e
ne ha effettuati alcuni in prima persona, due dei quali su bimbi di
appena 4-5 kg di peso, che possiamo definire di difficoltà medio-alta».

Secondo Luisi, «effettuando nel 2008 una cinquantina di interventi
a cuore aperto Bader potrebbe perfezionarsi e far raggiungere al
Makassed traguardi ancora più importanti. Questo ospedale nel 2007 ha
effettuato circa 200 interventi di cardiochirurgia: una media di
livello europeo.
E potrebbe fare di più se soltanto ottenesse,
così come altri ospedali palestinesi, maggior sostegno da parte della
Comunità internazionale», mette in risalto il medico italiano giunto
con la sua equipe a Gerusalemme su richiesta di una Ong americana, il
«Palestine Children’s Relief Fund» (Pcrf) presieduta da un ex
giornalista, Steve Sosebee, che dal 1991 ha garantito cure mediche a
quasi 8mila bambini palestinesi.
«Abbiamo portato al Makassed di
Gerusalemme Est, allo Shifa di Gaza e all’ospedale di Ramallah equipe
italiane, americane, neozelandesi e di altri paesi, tra cui medici di
fama internazionale, allo scopo di effettuare interventi di alta
chirurgia e di formare il personale locale», racconta Sosebee che non
manca di sottolineare che «un intervento a cuore aperto al Makassed
costa mediamente 3-4 mila euro, in Israele il doppio».
Dal 2003
infatti, attraverso il programma Saving Children, il Centro Peres per
la Pace, garantisce assistenza medica specializzata ai bambini
palestinesi gravemente ammalati offrendo loro ricoveri e interventi
chirurgici in ospedali israeliani.
Ha seguito sino ad oggi 4.500
casi, nella maggior parte cardiochirurgici o cardiologici (527) ma
anche di riabilitazione motoria e psicologica, trapianti del midollo e
cure oncoematologiche. I costi di Saving Children sono stati sostenuti
in gran parte dalle regioni Toscana, Emilia Romagna, Friuli Venezia
Giulia, Umbria e Lazio nonché da individui ed organizzazioni olandesi,
Usa e svizzere.
Qualche mese fa il ministero degli esteri italiano
ha dato parere favorevole al nuovo progetto presentato dalla Toscana in
qualità di regione capofila. L’impegno finanziario sul nuovo progetto,
con valenza triennale, è di 5 milioni e 700 mila euro e vede la
compartecipazione al 50% da parte del governo e per il rimanente 50% da
parte della Toscana e delle altre regioni partner.
I medici del
Makassed non discutono le capacità e lo spirito umanitario dei loro
colleghi israeliani, ma non capiscono la logica dietro questo impegno
internazionale – e italiano in particolare – a favore del Centro Peres
per la Pace. «Ringrazio i dottori israeliani per la loro generosità
verso i nostri bambini, ma allo stesso tempo devo dire che qui al
Makassed siamo in grado di compiere con successo un buon numero degli
interventi di cardiochirurgia che passano per il programma Saving
Children e di evitare a tanti bambini lo stress del trasferimento in
Israele. Inoltre possiamo seguirli nel delicato periodo post-operatorio
e di riabilitazione che non sempre è possibile continuare a fare in
Israele», spiega il primario di cardiochirurgia Mahmud Nashashibi.
Perché effettuare un passaggio attraverso la sanità israeliana se
quella palestinese è in grado d’intervenire?
«Certo – aggiunge
Nashashibi – non possiamo ancora intervenire in tutte le gravi
patologie cardiache, ma su tante siamo in grado di farlo senza
problemi, inoltre abbiamo allargato e modernizzato il reparto di
terapia intensiva e i nostri specialisti sono sempre più numerosi e
bravi». «Perché la Toscana e le altre regioni italiane non aiutano
anche a noi?», domanda Nashashibi convinto che «Saving Children» abbia
una finalità «politica» e non solo umanitaria.
«Si vuole legare a
doppio filo l’attività medica palestinese a quella israeliana, nel nome
di una collaborazione non sempre necessaria mentre la logica imporrebbe
un intervento più razionale, diretto, a favore della crescita della
sanità palestinese», sostiene il primario ricordando che attraverso il
Centro Peres passano sempre più donazioni e programmi, non solo
sanitari, destinati ai palestinesi.
Da parte sua il dottor Luisi,
che al Makassed tornerà nei prossimi mesi, esprime un giudizio tecnico:
«La cooperazione in tutti i campi e anche in quello medico prevede non
solo interventi nel paese che li richiede ma anche come insegnare a
fare questi interventi alle popolazioni locali. Pertanto eseguire
queste operazioni di cardiochirurgia non nel territorio palestinese ma
invece nei luoghi di origine dell’equipe medica straniera, in Italia o
negli Stati vicini, non corrisponde assolutamente ai dettami che sono
stabiliti internazionalmente dalla cooperazione».

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