20/12/2007: Lettera degli ergastolani di Spoleto sulla cessazione dello sciopero


Cari ergastolani,

l’Associazione Pantagruel in data
14/12/07, ci ha chiesto di cessare lo sciopero della fame, cosa che
abbiamo subito fatto, sarà la stessa associazione a scrivere ad ogni
ergastolano che ha aderito allo sciopero per documentarlo con i
risultati ottenuti.

Nella nostra lotta ci sono state luci ed ombre ma non dimentichiamo che prima c’era solo il buio.
Non
ci hanno tradito (deluso) i mass media o i politici, piuttosto ci hanno
deluso e tradito la fame e il freddo e crediamo che per il futuro sarà
il caso di trovare altre forme di lotta che non sia lo sciopero della
fame (si accettano consigli e proposte).

E’ di questi giorni la
lotta dei camionisti contro il governo, impariamo da loro: gli
ergastolani devono imparare a lottare con tutte le loro forze.

L’ergastolano può perdere la speranza di uscire ma non dovrebbe mai perdere la speranza di lottare.
L’ergastolano se continua a ragionare da prigioniero morirà prigioniero.
Non possiamo continuare ad avere gli occhi chiusi dobbiamo aprirli se vogliamo tentare di vedere l’orizzonte.
La
vita dell’ergastolano è una schiavitù di tutti i giorni della
settimana, di tutte le settimane dell’anno e di tutti gli anni della
nostra vita.

Per uscire non si può sperare su l’educatore, su
l’insegnante, sul magistrato di sorveglianza, sul direttore del
carcere, sul politico, sui mass media, sulla fortuna, sul caso, ma
bisogna contare solo sugli ergastolani: su di noi e sui nostri
familiari.

Qualcuno ha detto:
– Abbiamo perso un’occasione, la più bella occasione che sia mai capitata ad un ergastolano da tanti anni a questa parte.
La
maggioranza degli ergastolani non crede che sia così perché solo
rimanendo vivi si può continuare a combattere: ci rifaremo nella
prossima lotta.

In tutti i casi non piangiamoci addosso ma passiamo subito all’attacco.
L’ergastolano non può uscire da solo, per uscire ha bisogno di altri ergastolani: organizziamoci meglio.
All’esterno
si sta costituendo un Coordinamento nazionale Mai dire mai e chiederemo
che sia presidente onorario Alessandro Margara; sarà pubblicato un
bollettino che faccia circolare le idee e iniziative; saranno inoltrate
proposte d’incostituzionalità dell’ergastolo alla Corte Costituzionale;
a febbraio si effettuerà un convegno nazionale con probabile presenza
di ergastolani ed altro ancora.

Organizziamo in tutti i carceri un
gruppo autogestito che coordini tutte le iniziative degli ergastolani
di ogni istituto che saranno diffuse dall’Associazione Pantagruel
disposta a farci da segreteria esterna.

La nascita di ogni gruppo va segnalata all’Associazione Pantagruel per coordinarci, dare e ricevere notizie.
Già
gli ergastolani di Spoleto consapevoli che dovranno morire in carcere:
la pena dell’ergastolo poiché non è determinabile a priori è stabilita
fino alla morte del reo (V. Cass., sez. I, 4 marzo 1993, n. 241)
propongono di continuare comunque e sempre a lottare.

Chi si arrende è perduto.


Gli ergastolani in lotta di Spoleto
14/12/07

agitazione@hotmail.com

http://www.autprol.org/

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http://www.repubblica.it/2007/10/sezioni/economia/prezzi-pane/crollo-consumi/crollo-consumi.html

La richiesta di pasta e pane in deciso ribasso dopo i rincari dei prezzi
Caccia ai beni sostitutivi: dal latte a lunga durata ai cracker

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http://www.lasicilia.it/articoli.nsf/(ArticoliLaSiciliait)/D7A8DC780E8BC0C8C12573B70031A651?OpenDocument

Preso il re dei supermarket, era nei pizzini di Provenzano

CASTELVETRANO
(TRAPANI) – È considerato il re dei supermercati in Sicilia, ma anche
uno dei più facoltosi imprenditori dell’isola che però sarebbe stato
"nelle mani" del boss latitante Matteo Messina Denaro. Così Giuseppe
Grigoli, 58 anni, di Castelvetrano (Trapani), è stato arrestato stamani
per concorso esterno in associazione mafiosa.

La grande distribuzione alimentare che ha realizzato
in Sicilia sarebbe stata per la mafia una forma di finanziamento per le
casse di Cosa nostra, ma anche un modo con il quale i boss locali in
cui venivano aperti i supermercati potevano anche offrire lavoro a
persone loro vicine. In questo modo la mafia ha continuato a
sostituirsi alla sana imprenditoria, conquistandosi il favore della
gente.

A svelare i meccanismi economici-criminali che
starebbero dietro la gestione del marchio Despar da parte di Grigoli
nelle province di Agrigento, Trapani e Palermo, sono stati i pizzini
trovati nel covo di Bernardo Provenzano il giorno del suo arresto. Si
tratta di lunghe lettere che gli erano state inviate da Messina Denaro
in cui spiegava che dietro la società di Grigoli c’era lui. I

l boss trapanese chiariva al padrino corleonese il
modo con il quale la mafia guadagnava grosse somme di denaro. Ma
illustrava anche i problemi che incontrava nelle varie zone, come in
quella di Agrigento, dove la Despar ha aperto 40 punti vendita. E i
capimafia della zona tentavano di imporre il pizzo o non pagavano la
merce che veniva loro fornita.

Il provvedimento cautelare è stato emesso su
richiesta dei pm della Direzione distrettuale antimafia di Palermo,
Roberto Piscitello, Costantino De Robbio, Marzia Sabella e Michele
Prestipino, coordinati dagli aggiunti Giuseppe Pignatone e Roberto
Scarpinato, ed è stato eseguito da agenti della squadra mobile di
Trapani, Palermo e Agrigento.

Grigoli è indagato insieme al latitante Matteo
Messina Denaro, per il quale il gip ha emesso un nuovo ordine di
arresto. La società di Grigoli la "Gruppo 6 G.D.O. s.r.l.", che gestiva
i supermercati, è stata sequestrata, ed il suo valore ammonta a circa
200 milioni di euro.

Secondo le dichiarazioni rese di recente dal
collaboratore di giustizia, Maurizio Di Gati, "Grigoli e Messina Denaro
erano la stessa cosa". "La vicenda evidenzia – spiega il capo della
Squadra mobile di Trapani, Giuseppe Linares – come la mafia abbia
gestito i supermercati Despar a Trapani e Agrigento. Al di là di ogni
accertamento di responsabilità penale, così come è stata letta dagli
investigatori attraverso i pizzini trovati a Provenzano, ci dà il
modello imprenditoriale criminale che la Confindustria deve contrastare
in Sicilia".

Il ruolo di Provenzano, considerato come mediatore
degli affari dei boss di Cosa nostra, è stato evidenziato dal
procuratore aggiunto Giuseppe Pignatone che ha sottolineato
l’importanza dei dati trovati nel covo del padrino a Montagna dei
cavalli, in base ai quali "si è potuti arrivare ad individuare
l’aspetto economico-criminale dei mafiosi".

12/20/2007

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http://www.lasicilia.it/articoli.nsf/(ArchivioLaSiciliait)/A200D5A5CEBF5037C12573B700342184?OpenDocument

Parcheggi Catania, altri due sequestri

CATANIA
– Due parcheggi realizzati dal Comune in project financing con privati
nelle centrali piazze Verga e Ariosto a Catania sono stati sequestrati
da carabinieri e guardia di finanza. I sigilli sono ‘virtuali’ perché i
cantieri non sono ancora operativi.

Il provvedimento restrittivo è stato emesso dal Gip
su richiesta del procuratore aggiunto Giuseppe Gennaro e del sostituto
Francesco Puleio, che sono titolari dell’inchiesta che nei mesi scorsi
ha portato al sequestro di altri due parcheggi: quelli delle piazze
Lupo e Europa.

Intanto il Gip Luigi Barone, accogliendo la
richiesta della Procura, ha sospeso dal servizio di funzionario
dirigente della Presidenza della Regione Siciliana Salvatore D’Urso,
che è indagato per il suo incarico di responsabile dei nove parcheggi
che il Comune di Catania ha progettato in project financing.

Il provvedimento di sequestro dei due
parcheggi denominati ‘Verga’ e ‘Asiago’ è stato firmato dal Gip Luigi
Barone, che ha accolto la richiesta del procuratore aggiunto Giuseppe
Gennaro e dei sostituti Francesco Puleio, Antonino Fanara e Agata
Santonocito. Il giudice ha disposto per l’ingegnere Salvatore D’Urso
l’interdizione per due mesi da tutti gli incarichi pubblici ricoperti.
Secondo l’accusa ci sarebbero state irregolarità nell’aggiudicazione
delle gare.

In particolare, per il parcheggio Asiago, sarebbe stata riscontrata la
modifica delle caratteristiche strutturali e della collocazione
dell’opera. Per il parcheggio Verga, oltre a violazioni procedurali,
secondo la Procura esisterebbe un difetto nella titolarità del Comune
di Catania del terreno: l’opera sarebbe dovuta sorgere sulla piazza
dove è il palazzo di Giustizia e che, secondo la Procura, è di
proprietà del demanio dello Stato.

I provvedimenti di sequestro sono stati eseguiti da militari del
reparto operativo dei carabinieri di Catania e del Gico del nucleo di
polizia tributaria della Guardia di finanza del capoluogo etneo.

12/20/2007

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http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/20-Dicembre-2007/art44.html

21/12/07 – il manifesto 
 
La rabbia si fa strada a Belgrado, tradita dall’Europa
Lo scippo del Kosovo Di fronte al tentativo
d’imbroglio i serbi si sentono traditi. I Balcani in pericolo. E il 20
gennaio si vota per le presidenziali. Non si escludono sorprese
esplosive
Ennio Remondino
Belgrado

Belgrado in genere piace. Per la sua gente
e l’ironia che cogli ovunque. Dev’essere l’eterno oscillare fra
tragedia e farsa che segna la sua storia. Belgrado oggi è cuore e testa
di un popolo arrabbiato. Molto arrabbiato. L’occasione si chiama
Kosovo, ma ad offendere, più che la circostanza, è il modo. Quasi
esistesse verso la Serbia una sorta di volontà punitiva. Da parte degli
Stati Uniti, certamente, e più ancora della Gran Bretagna. Ma il
tradimento, dice il cuore di Belgrado, viene dall’Europa. Non dalla
paranoica macchina burocratica dell’Unione, ma da quei pezzi d’Europa
nella cui cultura ogni serbo trova una parte della sua identità.
Ogni
vecchio frequentatore di Belgrado non può evitare il rito di una cena
al Club degli scrittori, nella cantina fumosa di Budo e figlio, dove
l’anima della vecchia Jugoslavia di Tito te la trovi accanto, inamidata
assieme a tovaglie e camerieri. Vecchi amici con cui hai accompagnato,
a battute, la piazza democratica contro Milosevic, le bombe Nato, la
caduta del despota, la traballante democrazia che cammina su gambe di
uomini politici esili o d’avventura. L’altro giorno, verso il ben
conosciuto italijanski novinari, il giornalista italiano amico da
sempre, ho colto ironia, astio e amarezza per il tradimento
dell’Italia. Li ho visti per la prima volta davvero arrabbiati. Il
Kosovo come terra delle origini serbe, come ripete la stampa non solo
nazionalista, ma soprattutto, il Kosovo come beffa punitiva anti serba
di una parte del mondo. Vero o non vero che sia quanto sentono i serbi,
l’importante, anche per il futuro internazionale di questa parte
strategica del mondo, è il semplice fatto che questo sentono. Come a
dire, per le cancellerie mondiali particolarmente stupide, che la
politica internazionale di respiro si fa con i popoli e non con i
governi. I governi li puoi costringere, isolare, comprare o ricattare,
mentre i popoli, al voto, possono reagire non solo con testa o tasca,
ma a volte anche con la pancia.
È questo che rischia di accadere,
tra un mese, qui a Belgrado, quando il vivace passeggio di Kneza
Mihaila e le periferie arrabbiate di Novi Beograd, saranno chiamati a
votare per il presidente della Serbia. Concorrenti formali un mucchio,
in gara per il podio soltanto due: il presidente uscente Boris Tadic,
partito democratico, e il leader dell’attuale partito maggioritario e
nazionalista Toma Nikolic. Provo a tradurre in italiano. Tadic come un
Veltroni serbo (anche se assomiglia fisicamente a Casini) e Nikolic
come un Berlusconi populista e anti europeo, ma iper nazionalista. La
Serbia della nuova democrazia e la Serbia orfana del suo discusso
passato. A decidere, anche in Serbia, saranno al secondo turno di voto,
il 3 febbraio, i partiti minori: destra moderata, quasi destra, quasi
centro ecc.. Qui, nessuna Cosa Rossa in pista.
Ed eccoci al terzo
protagonista della scena: l’attuale capo del governo Vojislav
Kostunica, che ieri all’Onu ha strepitato contro lo scippo illegittimo
del Kosovo. Kostunica, in rotta anche personale col presidente Tadic.
Kostunica insegue i consensi ultra nazionalisti di Nikolic e sulla
questione Kosovo promette tempesta. Sostanzialmente condiziona Tadic
con la minaccia di non sostenerlo al secondo turno presidenziale,
scegliendo col non voto dei suoi seguaci di restituire agli orfani di
Milosevic la rappresentanza massima della Serbia. Scenario da
apocalisse per i Balcani, improbabile ma non impossibile in questa
carambola kosovara.
Che si appresta a fare il mondo nell’imminenza
di scenari comunque inquietanti? Poco o nulla, salvo il magheggio al
Palazzo di Vetro di New York dove Stati Uniti ed Unione Europea provano
a imbrogliare che la risoluzione 1244 (quella del dopo bombardamenti
Nato) consente di togliere il Kosovo alla sovranità serba per farne uno
staterello monoetnico albanese sotto protettorato internazionale. La
Russia insiste a ricordare che quella risoluzione Onu garantisce alla
Serbia la sovranità sul Kosovo ed il diritto internazionale impone la
tutela della sua integrità territoriale. Polemiche di domani e reazioni
che potrebbero arrivare a sorprendere.
Provo a tracciare un percorso
di appuntamenti. Due sole date certe: 20 gennaio, primo turno elezioni
presidenziali serbe. Primo Nikolic, insegue Tadic. 3 febbraio, secondo
turno dove, abbiamo visto, tutto potrebbe accadere. In mezzo, il 28
gennaio, il Consiglio dei ministri Ue dà il via alla missione europea
in Kosovo e riconosce alla Serbia lo status di Candidato all’accesso.
Un aiuto elettorale a Tadic. Contromossa di Kostunica: con i radicali
fa passare in Parlamento una risoluzione anti adesione europea e Nato.
Insediamento del nuovo Presidente serbo, chi esso sia, tra il 10 e il
15 febbraio.
Quello stesso 10 o 15 febbraio a Pristina, il
parlamento kosovaro dichiarerà la sua indipendenza. Sempre quel giorno,
la municipalità serba di Kosovska Mitrovica non riconoscerà il nuovo
Stato e, forte della vecchia risoluzione Onu, si dichiarerà parte della
Serbia. Dalle altre enclavi serbe migrazione di disperati verso la
nuova frontiera lungo il fiume Ibar. Rischio di tensioni e di violenze:
enorme. La Nato sul campo verificherà l’efficacia degli ordini
ricevuti. Gli stati dell’Unione europea, di fronte
all’autoproclamazione d’indipendenza, decideranno sul riconoscimento in
ordine sparso. L’Italia, forse costretta ad un dibattito parlamentare
preventivo, sul Kosovo rischierà il suo governo. L’Ue, che ha dato il
via alla sua missione di vigilanza e di governo in Kosovo, sarà ancora
alle prese con l’approntamento dei 2 mila uomini che non potranno
arrivare sul campo prima di maggio. Auguri di buon 2008 dai Balcani
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http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/20-Dicembre-2007/art39.html

21/12/0’7 – il manifesto
 
Corea del Sud, stravince Lee imprenditore alla Berlusconi
Il nuovo presidente è un conservatore filo Usa, sotto indagine parlamentare per una truffa in Borsa
Maurizio Riotto
Seoul

Lee Myung-bak ce l’ha fatta. Proprio nel
giorno del suo sessanteseiesimo compleano l’ex sindaco di Seoul,
conservatore, candidato del Grand National Party (Gnp) è diventato
presidente della Repubblica di Corea con una maggioranza schiacciante
di poco meno del 50% che ha umiliato il suo avversario Cheng
Dong-young, del partito democratico al governo, che ha ottenuto il 26%.
Il vincitore è l’uomo che qualcuno ha definito l’ennesimo Berlusconi
asiatico: nato in una famiglia povera ha fatto fortuna diventando a 36
anni uno dei manager di punta della Hyundai, ed è oggi sotto l’ombra di
un’inchiesta parlamentare che dovrà chiarire se il neo presidente abbia
avuto responsabilità nella vicenda di una truffa in Borsa da parte di
una società finanziaria di cui egli era manager.
La vittoria di
Lee è il frutto di elezioni tormentate, giunte alla fine di una
campagna elettorale portata avanti all’insegna di roventi polemiche e
raffinatissima tecnologia digitale (dagli schermi giganti itineranti ai
dialoghi coi cittadini via internet), che hanno fatto infine registrare
un alto tasso di astensionismo (ha votato il 62,9% degli aventi
diritto, l’affluenza più bassa di sempre. Dei ben dodici candidati
scesi in lizza solo uno alla fine era in grado di insidiare il
presidente eletto: il progressista Chung Dong-young, candidato dello
United New Democratic Party (Undp). Su Chung ha pesato la perdita di
consensi accumulata nel corso del suo mandato dal presidente uscente
Roh Moo-hyun, fautore della sua stessa linea politica che aveva già
provocato la catastrofica sconfitta dei progressisti nelle elezioni
regionali del 30 maggio 2006.
La vittoria schiacciante di Lee
Myung-bak pone interrogativi sulle aspettative e sui reali desideri
della popolazione sudcoreana. Il vincitore ha impostato la sua campagna
elettorale innanzitutto sul rilancio dell’economia nazionale, laddove
gli avversari progressisti hanno a turno insistito sul recupero della
moralità e sui valori umani.
Ma chi è Lee Myung-bak? Nato in
Giappone, vicino a Osaka, durante l’occupazione giapponese della Corea,
arrivò in patria nel 1945, alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Di
famiglia povera, ha svolto i mestieri più umili pur di studiare.
Entrato nel 1965 alla Hyundai, allora piccola azienda locale, ha saputo
conquistarsi l’amicizia del suo fondatore, Chong Chuyong, arrivando in
pochi anni ai vertici.
Disinvolto affarista e investitore, ha saputo
ritagliarsi una parte importante nel vorticoso periodo fra gli anni ’70
e ’90, in cui la Corea del Sud si è trasforato da paese del terzo mondo
a impressionante realtà industriale, arrivando ad accumulare un
patrimonio personale stimato in circa 40 milioni di dollari.
Eletto
deputato all’Assemblea Nazionale nel 1992, è stato sindaco di Seoul dal
2002, prima di decidere di presentarsi alle elezioni presidenziali,
vincendo anche la concorrenza di Park Kunhye, collega di partito e
figlia del dittatore Park Chung-hee (1917-1979), nelle primarie dello
scorso 20 agosto.
Gli avversari lo dipingono come un uomo privo di
scrupoli, spesso al centro di vicende finanziarie poco edificanti come
quella della LKE Bank, fondata per sua iniziativa e fallita dopo un
anno con gravi perdite per oltre 5000 investitori.
I suoi
sostenitori ne lodano invece il pragmatismo, l’abilità imprenditoriale
e un atteggiamento che cerca di conciliare lo sviluppo industriale con
il rispetto dell’ambiente.
Decisamente conservatore e vicino agli
Usa ha già lasciato intendere che rinnoverà il mandato delle truppe
sudcoreane in Iraq proprio per rinforzare il legame con Washington. Sul
fronte interno, ha promesso tre milioni di posti di lavoro e
soprattutto l’attuazione del progetto 7-4-7, ossia 7% di crescita del
Pil (che quest’anno si attesterà al 3,9%), crescita del reddito annuo
pro-capite fino a 40.000 dollari (quest’anno sarà di circa 20.000), e
settimo posto nel mondo per l’economia sudcoreana.
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http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/20-Dicembre-2007/art17.html

21/12/07 – il manifesto
 
Di sette ne resta uno solo
Un operaio strappa il nastro sulla corona di
fiori della multinazionale e grida: «Avete le mani sporche di sangue».
L’azienda si scusa con il sindaco
Manuela Cartosio

A lottare per la vita resta solo Giuseppe
Demasi, 26 anni. Stessa età di Rosario Rodinò, spirato ieri mattina
all’ospedale Villa Scassi di Genova, sesta vittima del rogo alla
ThyssenKrupp di Torino. La notizia della morte di Rodinò è arrivata a
Torino poche ore prima del funerale di Rocco Marzo, il capoturno
deceduto domenica scorsa. La piccola folla raccoltasi ieri nella chiesa
di San Giovanni Maria Vianney – quartiere Mirafiori – si ritroverà tra
qualche giorno per un altro funerale. Che il cardinale Severino Poletto
sperava di non dover celebrare. L’arcivesco, in gioventù prete operaio,
ha ribadito quanto aveva detto giovedì scorso in cattedrale di fronte
alle prime quattro bare. Il posto di lavoro è «sicuro» solo là dove
vengono scrupolosamente rispettate le norme di sicurezza. I dati e la
cronaca – il cardinale ha ricordato i cinque morti nella sola giornata
di martedì – dimostrano che questo rispetto manca. «Ormai le morti sul
lavoro sono un’emergenza nazionale. Occorre un sussulto di
responsabilità del Paese».
Un sussulto, in questo caso di rabbia, ha
spinto Ciro Argentino a un gesto pubblico di protesta. Ha strappato il
nastro con la scritta ThyssenKrupp sulla corona di fiori inviata
dell’azienda. «Avete le mani sporche di sangue», ha urlato il delegato
della Fiom ai dirigenti della multinazionale presenti al funerale di
Rocco Marzo. Tra loro, l’amministratore delegato Harald Espenhahn e
Cosimo Cafueri, responsabile sicurezza dell’acciaieria torinese.
Quest’ultimo, ascoltato l’altro ieri in Senato dalla Commissione
d’inchiesta sugli infortuni, ha sostenuto che alla ThyssenKrupp il
sistema antincendio «era ed è a posto». Giovanni Pignalosa, pure lui
delegato Fiom, dice che affermazioni di questo genere «offendono la
verità ed esasperano chi ha visto i compagni di lavoro trasformati in
torce umane». Ciro l’esasperazione e la rabbia «l’ha buttata fuori»,
altri «se la tengono dentro». Pignolosa ha un consiglio da dare ai
dirigenti locali della Thyssen: «Tacciano. Più parlano, più si danno la
zappa sui piedi». La loro autodifesa cozza con un fatto
incontrovertibile: «Dopo il 2005, decisa la chiusura, l’acciaieria è
stata lasciata andare a se stessa». Manuenzioni al lumicino, formazione
antinfortunistica zero. Pignalosa, entrato alla ThyssenKrupp 12 anni
fa, può fare confronti: «Prima non era così, c’era più attenzione alla
sicurezza. Poi è cambiato tutto».
Il suo racconto combacia con
quello, disperato, di Giovanni Rodinò, padre di Rosario. Lui in viale
Regina Margherita ha lavorato ben 34 anni, «allora quella fabbrica
funzionava come un orologio, adesso era una bomba a orologeria». E’
stato lui a «convincere» il figlio ad entrare alla ThyssenKrupp, a
seguire «le orme paterne». Accasciato su una sedia nell’ospedale di
Genova dove Rosario è spirato dopo 13 giorni d’agonia, il padre ripete
«colpa mia, colpa mia». Pignalosa vuole trasmettere un messagio a papà
Giovanni: «Non hai nessuna colpa, hai fatto quel che qualsiasi padre
premuroso e assennato avrebbe fatto. Lavorando nell’acciaieria eri
riuscito a tirare su la famiglia. Pensavi che la storia si sarebbe
ripetuta per tuo figlio. La strage ha altri colpevoli». Una strage
«annunciata», dice Giovanni Rodinò, perché la dismissione aveva fatto
passare in cavalleria la sicurezza. Racconta che Rosario, in pochi
anni, aveva subìto due infortuni, il più grave una scottatura al
braccio. Non era contento d’essere stato spostato al turno di notte. E
di notte «me l’hanno ammazzato», prosegue in lacrime il padre. Rosario
non è morto uscendo da una discoteca, «è morto sul lavoro». Adesso
indagare sui dirigenti che non hanno rispettato le norme «non serve
proprio a niente». La faranno franca, teme Giovanni Rodinò.
Anche
dalla chiesa di Mirafiori, come era successo in Duomo, i dirigenti sono
usciti da una porta laterale. Nel pomeriggio una delegazione della
ThyssenKrupp Italia, guidata dal direttore generale Ralph Labonte, è
stata ricevuta da Sergio Chiamparino. Ha consegnato al sindaco di
Torino una lettera di scuse in cui il presidente della multinazionale,
Ekkehard Schultz, riconosce il ritardo dell’azienda nel dare un «segno
forte» di partecipazione al lutto che ha colpito le famiglie delle
vittime e la città. E’ l’atto di contrizione che il sindaco pretendeva
per ristabilire «normali relazioni» con la ThyssenKrupp. I
rappresentanti dell’azienda hanno ribadito l’impegno a sostenere «ora e
in futuro» i familiari della vittime. Hanno dato la loro disponibilità
a sedersi a un tavolo per affrontare il futuro dei dipendenti
dell’acciaieria torinesi. Sono meno di 200 e nessuno degli operai è
disposto a tornare a lavorare «là dentro». L’azienda parla di
«ricollocazione lavorativa». La formula lascia intendendere che non
mira a riaprire per pochi mesi un’acciaieria destinata comunque a
chiudere entro settembre. Sa che gli interventi per metterla in
sicurezza richiederebbero tempo e denaro. Il gioco non vale la candela.
Almeno su questo la pensa come i suoi dipendenti torinesi. Che però
vogliono garanzie sul loro futuro.
Dell’addio a Rocco Marzo, 54
anni, resta una frase, pronunciata da tutti i giovani operai: «Per noi
non era un capo, era un padre». Ce lo dicono Pignalosa e il delegato
della Uilm Vincenzo De Pasquale. Gaspare Tre Re, in servizio sul carro
ponte la notte dell’incendio, aggiunge che «Rocco non era un capo come
gli altri, ci trattava come figli, ci diceva sempre di fare
attenzione». A Tre Re resta negli occhi un’immagine orribile: «Quella
di Giuseppe, avvolto dalla fiamme, che mi urla di gettargli dell’acqua
in faccia perché gli bruciava. Ho preso la manichetta ma l’acqua usciva
da un foro che c’era nel tubo». Giuseppe Demasi, ricoverato al Cto di
Torino, oggi subirà un terzo intervento chirurgico. Le sue condizioni
restano gravissime, ha ustioni sul 95% del corpo.
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Natale Proletario

Cosa porterà quest’anno babbo natale ai proletari di questa antica e ridente città?
Sfratti,
precarietà, repressione, sgomberi, guerra, prezzi alle stelle,
sfruttamento: ecco il natale che ci hanno preparato  padroni grandi e
piccoli (centrodestra, centrosinistra, confindustria, sindacati,
imprenditori, banche e chi più ne ha, più ne metta)
.


Non facciamoci più prendere in giro!
Facciamogliela noi la festa!

:: :: DICEMBRE ALL’EXPERIA :: ::

  • 22 dicembre: cena popolare + giochi (a partire dalle 21.00)
  • 28 dicembre: l’antico e nobile gioco della TOMBOLA per grandi e bambini (a partire dalle 18.00)
  • 29 dicembre: Dirty Breeders (back in town) + DJ CRIS. La storica band punk HC più l’astro nascente delle serate rock’n’roll catanesi (a partire dalle 21.30)

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Comunicato dell’Associazione Solidarietà Parenti e Amici degli arrestati il 12/2/2007


20/12/2007: Sul 12 dicembre, Comunicato dell’Associazione Solidarietà Parenti e Amici degli arrestati il 12/2/2007


solidarietà

Innanzitutto ringraziamo calorosamente tutti coloro che si sono
mobilitati per portare la loro solidarietà ai compagni sotto processo e
per impedire che, nell’anniversario della strage di stato di Piazza
Fontana, i fascisti di Forza Nuova manifestassero pubblicamente a
Milano.

Il
12 dicembre, sia all’interno dell’aula bunker di San Vittore, che
all’esterno si è espressa con forza e determinazione la volontà di
reagire, resistendo, alla repressione e al fascismo.

Dentro l’aula
All’appello
degli imputati il compagno operaio Vincenzo Sisi ha risposto: “Con il
corpo sono presente, ma la mia testa è con gli operai della Thyssen-
Krupp”.

Gli altri imputati hanno risposto applaudendo e col pugno alzato.
La pm Bocassini ha rilevato che i pugni alzati sono una mancanza di rispetto alla corte!…(e poi la chiamano “toga rossa”!)
Gli
avvocati della difesa hanno contestato il trattamento riservato agli
imputati e a loro stessi: i compagni erano in gabbie singole, separati
da uno schieramento di guardie e transenne dai difensori che erano
quindi quasi impossibilitatti a conferire con i propri assistiti.

E’
stata richiesta la revoca del perdurante divieto d’incontro tra
imputati, misura assurda visto che l’inchiesta per loro è chiusa da
tempo e che ha comportato molte angherie durante la detenzione, ormai
di dieci mesi, in particolare l’isolamento e i continui trasferimenti.

Gli
avvocati della difesa hanno inoltre richiesto l’avvicinamento alla sede
processuale, visto che alcuni compagni sono stati prelevati dal carcere
o dai domiciliari alle quattro di notte per essere riportati a
destinazione il giorno stesso e per poi essere riprelevati, con le
stesse modalità, per le udienze dei prossimi giorni.

Sono poi state eccepite varie nullità sulla richiesta di rinvio a giudizio:

nullità in relazione alla violazione del diritto di difesa derivante
dalla mancata consegna di tutte le copie degli atti processuali entro i
termini di legge,

– nullità, sempre in relazione al diritto di
difesa, dovuta ai trasferimenti ed alla dispersione degli imputati
lontano dalla sede processuale (anche in contrasto con l’art. 6 della
Convenzione di Strasburgo) poiché ciò ha ostacolato l’incontro con i
legali,

– nullità in relazione alla violazione derivata dalla
mancata considerazione della sospensione del periodo feriale
(l’inchiesta è stata chiusa proprio a ridosso del periodo di chiusura
estiva del tribunale),

– nullità rispetto ai 5 giorni di divieto d’incontro con i difensori imposto dopo l’arresto degli imputati,
– nullità in base alla contestazione di gravi irregolarità nelle procedure seguite per le intercettazioni telefoniche,

nullità poiché la richiesta di rinvio a giudizio è stata effettuata ben
prima della conclusione dell’incidente probatorio relativo alla
trascrizione di tutte le intercettazioni ambientali che sono parte
preponderante di questo processo,

– nullità poiché le perizie
tecniche sono state disposte dall’accusa in contemporanea e in diverse
sedi fra loro lontane impossibilitando così la difesa a parteciparvi


nullità per l’impossibilità di far entrare nell’inchiesta fonti come il
Sisde (Servizi segreti). Il Sisde non può entrare nella sistematica
giuridica ordinaria mentre, entra in questo processo, facendo vestire
le sue indagini (che non possono avere la connotazione di indagini di
polizia giudiziaria) attraverso delle relazioni della Digos e facendo
confluire comunque dei filmati e delle foto che aveva raccolto nel
corso del suo lavoro.

E’ stata poi contestata e ritenuta
illegittima la costituzione di parte civile da parte di Forza Nuova sia
per motivi politici, perché non è ammissibile che una forza volta alla
ricostruzione di un partito fascista possa essere accettata nelle aule
dei tribunali in quanto ciò, per la legge italiana, è un reato punito
con la reclusione da 5 a 12 anni, sia per motivi procedurali, in base
ad irregolarità nella presentazione della richiesta.

A tutto ciò il gup Marina Zelante risponderà nell’udienza del 14 dicembre.

Fuori dall’aula
Fin
dalle otto del mattino un folto numero di compagni ha presenziato nei
pressi dell’aula bunker dando vita poi ad un presidio in Piazza
Aquileia che, dalle nove in poi, è andato via via ingrossandosi.
Diverse centinaia di persone vi hanno partecipato: compagni, situazioni
collettive del movimento milanese ma anche delegazioni da altre parti
d’Italia, antifascisti, anarchici e singole persone che sono venute a
dare solidarietà. Numerosa la presenza dal Veneto e del Cpo Gramigna di
Padova che ultimamente ha subito un nuovo arresto di un giovane
militante.

Gli slogan, la musica, i petardi e i fuochi d’artificio
hanno tenuto compagnia fino a pomeriggio ai prigionieri di San Vittore
che salutavano e rispondevano attraverso le sbarre delle finestre. Il
presidio ha espresso anche la solidarietà ai prigionieri in lotta
contro l’ergastolo, in sciopero della fame dal primo dicembre.

Sono
state lette numerose lettere dei compagni sotto processo, comunicati di
solidarietà e comunicati contro il terrorismo di stato e contro i
fascisti. Un lavoratore ha letto un comunicato per esprimere la rabbia
e la vicinanza di tutti agli operai della Thissen-Krupp, barbaramente
colpiti dal terrorismo dei padroni: le morti sul lavoro a scopo di
profitto.

L’arrivo in corteo degli studenti, provenienti dalla
manifestazione studentesca indetta per ricordare l’anniversario della
strage di stato di Piazza Fontana, ha trasformato il presidio in blocco
stradale e successivamente in corteo che ha sfilato fin nelle vicinanze
di Piazza Filangeri, entrata dell’aula bunker, dove i fascisti di Forza
Nuova avevano promesso un presidio contro il comunismo. Lo striscione
che apriva il corteo diceva: “12 dicembre 1969 – 12 dicembre 2007, il
solo terrorismo è quello dello stato! Libertà per i compagni!”.

La
giornata di mobilitazione ha raggiunto l’obiettivo di impedire ai
fascisti la sceneggiata anticomunista e reazionaria che avevano
promesso e ha dato visibilità alla solidarietà di classe che,
nonostante tutti i pesanti attacchi repressivi subiti dal 12 febbraio
in poi (compresi arresti) si è mostrata rafforzata ed estesa.

La
solidarietà fa paura ed è forse per questo che i mass media, che tanto
si sono sbizzarriti a scrivere per denigrare i compagni e per dar voce
all’accusa, hanno taciuto (tranne per qualche trafiletto) sulla
giornata del 12 dicembre a Milano.

I compagni sotto processo non
sono criminali isolati come vorrebbero mostrare l’accusa, la stampa, lo
stato, i partiti istituzionali, i vertici sindacali. La giornata del 12
ne è stata un’ulteriore dimostrazione ed è stata anche un momento
importante per tutto il movimento di classe che ha opposto resistenza
al tentativo di distruggere l’identità dei compagni e di mischiare le
carte con la convocazione dell’udienza preliminare proprio nella data
simbolo dello stragismo di stato.


Grazie a tutti quelli che
hanno partecipato a Milano e a tutti coloro che in altre parti
d’Italia, ma anche all’estero, hanno organizzato iniziative non potendo
essere presenti.
Le adesioni sono arrivate numerose.

Il solo terrorismo è quello dello stato!
Per i compagni libertà, estendiamo la solidarietà!

Milano 13/12/2007
Associazione di Solidarietà Parenti e amici degli arrestati il 12/2/2007

http://www.autprol.org/

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Lettera di Michele sul 12 Dicembre

12 DICEMBRE 1969 – 12 DICEMBRE 2007

Sono passati quasi 40 anni
da quando lo stato decise di inaugurare la strategia della tensione
facendo scoppiare una bomba, per mano fascista, all’interno della banca
dell’agricoltura a Milano.
16 furono le vittime, 17 con Pinelli
lanciato da una finestra della questura. Subito le accuse piombarono
sugli anarchici per coprire la mano fascista e la mente istituzionale
del vile attentato. Ennesima dimostrazione di come lo stato assolve se
stesso, i suoi crimini e i suoi terroristi.
Sono passati quasi 40
anni, il processo è finito senza condanne e con la beffa per i parenti
delle vittime, costretti a pagare anche le spese processuali.
Il
periodo della strategia della tensione si è concluso da qualche anno,
ma la libertà è un concetto ancora lontano. I governi che si sono
succeduti fino ad oggi si sono riempiti la bocca di parole come
“democrazia”, “diritti per tutti”, “pace”, ma la realtà è che la
libertà d’espressione è fortemente minata e l’informazione censurata e
pilotata. Il dissenso non è tollerato e ogni focolaio di lotta viene
represso duramente.
Parlano di sicurezza sul lavoro e di diminuire
la precarietà: ma in fabbrica e in cantiere si continua a morire per
uno stipendio misero che a volte non basta nemmeno per pagare
l’affitto. “Non ci sono soldi” è la risposta del governo ai lavoratori
in sciopero. “Non ci sono soldi” ma i padroni vivono nel lusso
speculando sulla pelle dei lavoratori!
“Non ci sono soldi” ma chi governa si regala 20.000 euro al mese per rimanere aggrappato alla sua poltrona.
“Non ci sono soldi” ma si spendono centinaia di migliaia di euro per costruire nasi militari e comprare aerei da guerra.
“Non
ci sono soldi” ma i generali dell’esercito prendono più di 100 euro al
giorno per esportare morte nei teatri di guerra; in Iraq, Libano,
Palestina, Afghanistan muoiono donne, uomini e bambini per soddisfare
la sete di potere delle potenze occidentali.
Oggi 12 dicembre lo stato, non a caso, ha deciso di processare chi lotta contro tutto questo.
Chi si organizza e lotta contro questo sistema, che si basa sul benessere di pochi, viene represso e arrestato.
Compagni
che lottano in prima linea nei loro posti di lavoro, nelle università,
nelle piazze e che hanno deciso di organizzarsi contro questa società
vengono additati come terroristi.
Ma lo stato, ancora una volta, non
ha fatto bene i suoi conti, non possono 4 mura rinchiudere le nostre
idee e non basta il carcere a fiaccare la nostra determinazione e la
nostra resistenza. La lotta continua e si rafforza sempre più, le
nostre idee non si possono arrestare.

Uniti si vince.
L’ERBA CATTIVA NON MUORE MAI!   
A pugno chiuso

Michelino

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